(Domenica 11 dicembre.) In via San Vittore irrompe lo spirito delle praterie argentine e della malinconia portegna ma anche di personalità ribelli, indomite al potere, che levano alta la voce contro l’arbitrio e la crudeltà. Eliana Sanna ha trascinato da subito il pubblico nella scia dei suoi tanghi così familiari, e al tempo stesso così capaci di rimescolare le carte del profondo. Da Gardel a Piazzolla, da Victor Jara a Violeta Parra, ha spalancato la finestra nel tinello della nostra piccola Europa indolente, dubbiosa e, duole dirlo, di questi tempi angusta anche nei sogni. Bravissimo il maestro al piano, Andrea Bettini, che ha animato il palco con uno stile espansivo e caldo. Stefania Casiraghi, per la prima volta dietro al leggio delle letture nella nostra stagione, ha letto i brani di Roberto Mariani, un autore pressoché dimenticato e non famoso nemmeno in vita (sebbene Borges sia andato al suo funerale). La sua parabola è raccontata da Osvaldo Soriano nel libro Artisti, pazzi e criminali (1983). “Roberto Mariani fu uno dei più brillanti narratori della sventura e della disperazione e forse per questo la sua opera era destinata a svanire dalla storia della letteratura argentina.” Scontroso, solitario, insofferente di etichette, adepto della rivoluzione russa e nemico acerrimo del sopruso, si firmava con la sigla RS, che stava per ‘Rivoluzione Sociale’. Nel 1925 pubblicò i racconti di Cuentos de la oficina (Racconti dell’ufficio). La scrittura è nitida, le ricostruzioni della vita in ufficio rasentano l’entomologia, l’esito è quasi sempre tragico. La ballata dell’ufficio, che apre il volume, è un inno al contrario, sarcastico fino all’inverosimile, che irride la retorica del lavoro con cui si spinge l’essere umano a porgere spontaneamente i polsi e le caviglie ai ceppi. Uno (letto integralmente) è invece la storia di un impiegato che cade, si rompe il ginocchio, finisce in un vortice di indigenza e privazioni, trascinando con sè la moglie inerme. Qualcuno si è lamentato, finito lo spettacolo, per una scelta di letture senza respiro e non leggera. Per altri, ci piace pensare, abbia avuto un effetto catartico. Stefania Casiraghi non si è risparmiata: ha scaldato il fornelletto del pathos fermandosi solo un passo prima di tracimare nel parossismo. Sipario. Applausi. Vino per riprendersi. (La fotografia qui sopra, dal titolo Salinas Grandes de Jujuy, è stata scattata nel 2007 da Roberto Colasuonno, che poi quella porta l’ha attraversata davvero poco dopo.)